Può un castello diventare il palco di una commedia che ha qualcosa di Shakespeare sui legami e gli intrighi amorosi, le note amare di Pirandello, come quella allegorica di “strappo nel cielo di carta” del "Fu Mattia Pascal", che va a rappresentare la perdita da parte dell’uomo moderno dei valori della tradizione su cui aveva fondato il suo nucleo di sicurezze?

Ma, Vladimiro, il protagonista del romanzo "Luci del buio", uomo devastato dal dolore, che cerca di rimettere insieme i pezzi della sua vita, è soprattutto personaggio defilippiano, della commedia di De Filippo, anche nei suoi dialoghi con don Peppino, il prete napoletano, che parla in dialetto partenopeo nel profondo nord.

Ecco, gli autori del libro, Tommaso Caruso e Vittorio Fiorenzano, non so quanto consapevolmente, hanno lavorato dentro uno schema letterario che riproduce un po' Pirandello e un po' De Filippo.

Davvero complimenti, quindi, agli autori, a Tommaso Caruso e al mio carissimo amico Vittorio Fiorenzano.

Da tutto il libro emerge chiaro l’amore per i colori e per i suoni, il desiderio di descrivere una gran pace dorata, nonostante i drammi e i tormenti, la consapevolezza di un inesprimibile silenzio disteso su eventi svaniti da tempo di cui restano solo le schegge dei ricordi che tornano alla memoria a volte come onde d’una calma risacca, a volte come un’eco dolorosa.

Ritengo che questa mia nota debba interrompersi qui, senza entrare nel vivo della narrazione: la storia e i diversi personaggi che le danno vita devono essere
analizzati pian piano dai lettori cui non si deve togliere il piacere della scoperta né influenzarne la valutazione.

 

Novella Capoluongo Pinto